Parto con la necessaria premessa che quanto dirò è rivolto ai fotografi meno esperti e potrebbe apparire ovvio agli altri. Guardando gli argomenti trattati nella sezione “Elaborazione post-scatto” in questo Forum un principiante potrebbe essere portato a pensare che il tema riguardi solo interventi di pesante modifica grafico – strutturale, come l’apporto di cornici, scritte, montaggio di immagini affiancate, oppure effetti speciali, che alterino la forma base dell’immagine. Sicuramente i programmi di elaborazione fotografica permettono anche questo, ma il loro scopo principale, e se vogliamo anche più “professionale”, è essenzialmente di sviluppare i dati forniti dalla nostra macchina fotografica, per arrivare a un’immagine di valore, equilibrata in toni ed esposizione, giustamente contrastata, saturata piacevolmente nei colori, dettagliata nei punti a fuoco e gradevolmente morbida negli sfondi sfocati. Insomma migliorare ed ottimizzare ciò che abbiamo potuto ottenere in macchina, restituendo la fotografia migliore possibile, in relazione a quanto abbiamo scattato. Il processo di postproduzione è sempre esistito, nel 1839, appena inventata la prima rudimentale macchina fotografica, già si parlava di fotoritocco. E in effetti, per un secolo e mezzo, questo è avvenuto regolarmente in camera oscura, ma di necessità la cosa era riservata a pochi professionisti ed esperti. Con l’avvento del digitale si è aperto un mondo sconfinato di postproduzione raffinata e soprattutto alla portata di chiunque si prenda la briga di studiare un po’ il problema. Con i programmi attuali noi possiamo ottenere con facilità e rapidità risultati un tempo riservati a pochi eletti e con processi allora non proprio semplici. Cosa occorre per arrivare a questo? Come attrezzatura fotografica necessita una macchina che registri i dati del sensore in raw. Oggi lo fanno anche compatte di fascia alta, oltre naturalmente a tutte le mirrorless e tutte le reflex. Il raw non è un’immagine, è semplicemente la registrazione dei dati grezzi del sensore, che poi opportuni programmi trasformano in immagine. Il jpeg è invece già immagine elaborata dal software della macchina, che ovviamente applica schemi standardizzati di elaborazione, poi riduce a 8 bit e quindi comprime con perdita di dati. Il Raw innanzitutto registra i dati a 12 o anche 14 bit, e tra poco spieghiamo l’enorme differenza, inoltre è un grezzo senza elaborazioni standard che possono andare in senso contrario alla nostra volontà, in più ci permette di sviluppare le modifiche senza sostanziale degrado prima di arrivare alla formazione di un’immagine, che potremo infine aprire e lavorare in un apposito programma a ben 16 bit. Veniamo a questa storia dei bit, che è un po’ la base logica per evitare il jpeg come la peste. Una immagine a 8 bit consente al massimo 256 tonalità di grigio, che rappresentano la possibilità di un passaggio graduale nei toni e nei colori. Ogni bit in più raddoppia il numero di tonalità di grigio: saranno quindi 1024 a 10 bit, 4096 a 12 bit, 16384 a 14 bit, 65536 a 16 bit. Se noi lavoriamo in un programma di elaborazione fotografica una immagine a 8 bit (e che sopra al conto abbia già subito compressione con perdita) ci accorgeremo subito che le modifiche agli estremi (alte luci e ombre) permetteranno di recuperare poco o nulla e si evidenzieranno presto problemi di posterizzazione, dovuti alle poche tonalità di cui si dispone. Inoltre sui colori c’è poco da fare e se è stata sbagliata la regolazione del bianco in macchina, la foto è praticamente da buttare. Con immagini aperte da raw noi possiamo invece intervenire con ampi margini di riuscita, ottimizzando la foto in esposizione, contrasto, tonalità, saturazione e incremento del dettaglio. Quindi come partenza sempre files raw, nella nostra attività che non prevede quasi mai usi immediati dell’immagine il jpeg proprio non ha senso. Programmi di elaborazione fotografica ve ne sono a decine: da quelli gratuiti e non necessariamente elementari (Gimp ad esempio è sofisticato e complesso), a quelli semplici ma buoni a pagamento (tipo Photoshop Elements) fino ai più costosi e professionali come il notissimo Photoshop di Adobe. Indico gli strumenti essenziali in un programma, per sviluppare efficacemente un’immagine: innanzitutto un istogramma con palette di regolazione dei livelli tonali e delle curve. Con questi due soli strumenti, che occorre imparare a conoscere bene, noi saremo in grado di regolare tonalità di luci e ombre, il loro contrasto e, volendo, anche le tonalità di colore. Di seguito, salendo nella qualità dei programmi, sarà molto utile poter lavorare su diversi livelli (layers), soprattutto se saranno previsti livelli di regolazione (si opera una regolazione, poi la si aggiusta facilmente agendo sull’opacità del livello). Infine straordinariamente potente è se il programma permette di operare sui livelli con maschere di opacità, che consentono superlative regolazioni selettive. In rete, sul tema maschere di luminosità, vi sono tutorials ed esempi affascinanti. Comunque, per partire, anche con una macchinetta che scatti in raw, e l’utilizzo elementare anche della sola palette dei livelli, noi potremo raggiungere risultati eccellenti con poca spesa e pure con poche nozioni di postelaborazione fotografica. Oggi non è affatto difficile ottenere una foto tecnicamente corretta e quando vedo in giro, magari anche pubblicate su rivista, foto delle nostre orchidee che avrebbero potute essere ben diversamente sottolineate, davvero ne ho un dispiacere. Se qualcuno fosse interessato a continuare il tema, a me farebbe sicuramente piacere parteciparvi. Ciao Riccardo
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