Riprendo questa discussione proprio in concomitanza con la discussione sulla Ophrys cinnabarina, sulla sua giusta o meno collocazione a rango specifico, e sulla sua eventuale collocazione a rango sottospecifico o di varietà. Vorrei riprendere alcuni concetti che a mio avviso sono strettamente legati al concetto di specie, che sono il Fenotipo, il Genotipo, la Pleiotropia e la Penetranza genica.
Nel 1911 Wilhelm Johannsen, botanico e genetista danese, distinse per la prima volta e definì i concetti di fenotipo e genotipo. Con il termine
fenotipo (dal greco phainein che significa "apparire", e týpos che significa "impronta") si intende l'insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un organismo vivente, quindi la sua morfologia, il suo sviluppo, le sue proprietà biochimiche e fisiologiche. Questo termine viene utilizzato in concomitanza al termine genotipo. In realtà,
il fenotipo è la manifestazione del genotipo, ed è il risultato dell'interazione tra l'espressione genica, i fattori ambientali e casuali. Organismi con uno stesso genotipo non necessariamente hanno uno stesso fenotipo (variabilità), per via di meccanismi sottostanti alle interazioni ambientali, alcuni dei quali studiati nell'epigenetica. D'altra parte organismi che mostrano uno stesso fenotipo non necessariamente presentano la stessa informazione genetica, o genotipo. Le specie dovrebbero essere istituite su differenze genotipiche e non fenotipiche, perchè differenze fenotipiche spesso non sono altro che sinonimo di variabilità di una stessa specie, differenze dovute per l'appunto alla pressione di fattori ambientali o casuali, che non sempre corrispondono a variazioni genetiche tali da giustificare la distinzione in due specie.
La
pleiotropia (dal greco pleion πλείων - "molteplice", e tropein, τροπή - "cambiamento") è un fenomeno genetico per il quale un unico gene è in grado di influenzare aspetti multipli del fenotipo di un essere vivente. Tale capacità, in realtà, è soltanto apparente perché l'effetto primario del gene rimane unico, ma determina una serie di conseguenze a livello cellulare, che portano in ultima istanza a una maggiore differenza fenotipica. Questo è sinonimo del fatto che una molto ampia variabilità fenotipica spesso non è sinonimo di una altrettanto ampia differenza genetica, e che basta una piccola mutazione di un singolo gene pleiotropico per ottenere manifestazioni fenotipiche anche molto differenti all'interno di una stessa specie. Alcune varietà di grano possiedono un gene in grado di controllare la produzione di un ormone chiamato gibberellina, il quale a sua volta controlla diversi aspetti della crescita della pianta, come il ritardo nella fioritura e l'altezza del fusto. A seconda quindi dell'allele che si manifesta in quel gene più aspetti del fenotipo variano contemporaneamente. Varie malattie umane sono influenzate da geni pleiotropici (fenilchetonuria, anemia falciforme, albinismo). Anche Mendel aveva involontariamente e inconsapevolmente individuato un esempio di pleiotropia in quanto due dei sette caratteri che aveva preso in considerazione del
Pisum sativum (pisello da orto), colore del fiore e colore dell'involucro del seme, sono sotto il controllo di uno stesso gene.
Nella genetica il termine
penetranza indica la frequenza con cui un allele (sia esso dominante o recessivo) si manifesta fenotipicamente all'interno di una popolazione, ciò dipende sia dal genotipo (ad esempio la presenza di geni epistatici o di altri geni) sia dall'influenza dell'ambiente.
In altre parole la penetranza corrisponde alla frequenza con cui, dato un certo genotipo, si manifesta il fenotipo corrispondente. La penetranza è completa (100%) quando tutti gli omozigoti recessivi (rr) manifestano un fenotipo, tutti gli omozigoti dominanti (RR) mostrano un altro fenotipo e tutti gli eterozigoti (Rr) sono simili. Ad esempio, se tutti gli individui che portano un allele mutato dominante manifestano il fenotipo mutato, l'allele è completamente penetrante. Molti geni mostrano penetranza completa: ne sono esempi le sette coppie alleliche usate da Mendel nei suoi esperimenti. Ma sfortunatamente non tutti i geni seguono l'ereditarietà secondo Mendel.
Esistono infatti casi di
penetranza variabile (o espressività variabile) o addirittura di penetranza incompleta. L'espressività variabile è uno dei tanti fenomeni genetici che si discostano dalla classica analisi mendeliana sull'ereditarietà. Da due genitori, uno omozigote dominante (RR) e l'altro omozigote recessivo (rr) per quanto riguarda un certo carattere, dovrebbero nascere essenzialmente figli eterozigoti (Rr), comunque manifestanti solo il fenotipo dominante (R). Con l'espressività variabile, in parte della generazione si riscontrano anche individui con parte del fenotipo recessivo (r) (in quantità variabile), poiché l'allele dominante non è abbastanza "forte" da mascherare l'omologo.
Un esempio tra le malattie umane è la displasia dell'anca. Da due genitori, uno sano (omozigote dominante, RR) e l'altro malato (omozigote recessivo, rr), dovrebbero nascere solo figli sani (eterozigoti, Rr), tuttavia la penetranza incompleta fa sì che l'allele recessivo (r) riesca in parte a manifestarsi, portandoli a soffrire di parte dei sintomi. L'espressività variabile è spesso favorita da
fenomeni esterni, quali l'ambiente e l'età dell'individuo. Suo caso limite è la penetranza incompleta.
La
penetranza incompleta è un caso limite dell'espressività variabile, in cui, anche a causa di fattori esterni, in una generazione di individui eterozigoti (Rr), alcuni manifestano il fenotipo recessivo (rr), in quanto l'allele dominante non è abbastanza "forte" da poter mascherare l'omologo. È il caso, ad esempio, di alcune patologie genetiche che insorgono anche negli individui eterozigoti i quali dovrebbero essere fenotipicamente sani.
Tutto questo funziona relativamente bene nelle cellule animali, ovvero in organismi diploidi (2n), in cui sono presenti due copie di ogni cromosoma e il genotipo è dunque costituito da due alleli per ogni gene. Due cromosomi omologhi possiedono gli stessi geni, ma diverse forme alleliche. Ad esempio, ognuno dei due possiede il gene che controlla il colore del bocciolo, ma non necessariamente gli alleli determineranno lo stesso colore. In una cellula dove ogni cromosoma ha un solo omologo si dirà che ha 2N ovvero è diploide. Una cellula con più di due serie di cromosomi (3N, 4N….) si dirà poliploide e tutta la questione sulla penetranza si complica ulteriormente, e guarda caso le piante e in particolare le orchidee spesso e volentieri presentano corredi genetici poliploidi.
Spero di non avervi annoiato eccessivamente...