Caro Luca, tutto il mio apprezzamento per avere riproposto il decalogo dell’orchidofilo. Vorrei condividere l’ottimismo di Bruno, che considera certe valutazioni fisiologiche alla passione, ma parecchie esperienze non mi hanno fissato in questa convinzione. Lasciamo stare il rispetto per tutta la Natura, che già presupporrebbe una coscienza avanzata, e restiamo a ciò che per un orchidofilo apparirebbe il minimo essenziale: il rispetto cioè per le nostre amate orchidee. I punti 5 e 6 dovrebbero essere scontati, ma è questa la realtà? In troppe occasioni mi è accaduto di chiedermi se taluni si siano mai accorti che è stata inventata prima la fotografia e poi il suo sviluppo digitale, che permette oggi possibilità infinite di documentazione e di trasmissione dei dati un tempo impensabili. Gli essiccati appartengono a un’epoca in cui non vi era altro, tranne i disegni, per perpetuare il ricordo. Oggi quando si raccoglie una pianta per il protologo si è già distrutto abbastanza, perché poi tutta la documentazione descrittiva efficace, precisa e facilmente divulgabile è affidata alla buona fotografia. Valutare molti particolari su un secco è sovente impresa del tutto impossibile. E allora perché tanta gente continua a raccogliere e collezionare orchidee (e non solo)? Esagero? Oppure pongo il dito in una pustola rimossa dalla coscienza comune e anche nel GIROS esiste una percentuale di iscritti dedita per varie ragioni a una raccolta stupida perché totalmente inutile. Non recrimino su ciò che è stato, ma voglia il cielo che la lettura del decalogo possa almeno far cambiare rotta a persone che, a mio vedere, hanno pesantemente sbagliato nel passato. La condanna dei peccati altrui condita con molta indulgenza per i propri appartiene a un moralismo che detesto. Quindi, in questa sede, mi pare giusto parlare anche del nostro comportamento. Lo studio di generi complessi come le Epipactis (ma analogo discorso vale per Ophrys e Dactylorhiza), comporta la necessità di macro molto dettagliate. Alcune sono perfettamente fattibili sul campo, ma altre, per esempio l’analisi di un ginostemio, comportano la distruzione del fiore. Spiego come ci comportiamo noi, può servire di esempio per altri studiosi, oppure può anche innescare la censura di soci, che non condividano la nostra prassi. Noi raccogliamo, a seconda dell’abbondanza, da quattro a dieci fiori isolati, possibilmente da piante diverse e da due a quattro foglie, o pezzi di foglia, sempre da piante diverse. Con questo materiale siamo perfettamente in grado di produrre una documentazione variata e precisa di tutti gli elementi, che possono servire anche a uno specialista per valutare una specie (naturalmente in unione alla documentazione fatta sul campo, che rimane preponderante e non distrugge, se non per errore). Poiché una specie nuova o particolare viene sempre osservata per almeno quattro anni, ripetiamo in genere almeno tre volte questo esame. Poi non è mai più necessario distruggere un fiore e siamo in grado di fornire a qualunque studioso una documentazione fotografica sicuramente giudicabile esauriente. Quando l’amico Alex, su queste pagine, mi ha chiesto una immagine del ginostenio di Epipactis thesaurensis, ho tirato fuori una foto di cinque anni fa: quest’anno abbiamo sì fotografato piante e fiori, ma non vi era più nessuna necessità di distruggere fiori, poiché la documentazione a disposizione era già ricca e variata. A noi questo appare un discreto punto di equilibrio, si rovina qualche fiore ma mai la pianta e anche l’olotipo, per scelta, non viene mai raccolto con la radice. E nel contempo si produce una documentazione che anche tra cento anni darà un quadro dettagliato della specie. I secchi finiti in un cassetto invece a chi e a che cosa servono? Lo scorso anno avevamo pensato di andare a visitare il locus classicus di Epipactis lapidocampi, ma un amico tedesco ci ha sconsigliato, perché la stazione era stata in gran parte massacrata dalla raccolta sistematica delle piante da parte dei vari “studiosi”. Non ci pare proprio un metodo produttivo per consegnare la vita alle generazioni future. Infine una piccola imprecisione del decalogo: se in campo morfologico possono bastare pochi fiori per una valida documentazione, in campo genetico non è affatto così. Personalmente ho assistito con sgomento a una splendida torbiera viola di Dactylorhize divenuta verde in un’ora, per pagare un tributo a ricerche genetiche, di cui non si è poi sentito nulla. Il mio feeling con la genetica botanica lì è nato e lì è finito. Mi auguro che altri sentano il desiderio di intervenire su questi temi. Ciao Riccardo
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